Un giardino per Fruttero & Lucentini

Il 18 maggio stato inaugurato il giardino che la Città di Torino ha dedicato a Carlo Fruttero e Franco Lucentini, a seguito della proposta di Bruno Venturoli, direttore di “Tuttolibri”. Riporto qui il ricordo dei due amici, pubblicato su “La Stampa” del 19 maggio.

Premi e riconoscimenti ne hanno avuto pochi, i due sommi Compari, tanto meno istituzionali, anche per il disturbo che davano a chi facesse un uso improprio del potere, anche il più piccolo e meschino. La volta che Fruttero ha concorso (da solo) al Campiello con Donne informate dei fatti, è arrivato ultimo. L’anno dopo gli hanno dato il premio alla carriera, cioè un piccolo capitello in ceramica, e lui l’ha usato in casa come fermaporte. Di riconoscimenti non avevano bisogno, li avrebbero un po’ messi in difficoltà per quel tanto di formale che si accompagna fatalmente ad ogni celebrazione. Questa volta avrebbero percepito un affetto reale e famigliare, non cerimoniale: un giardino vicino a casa, vicino a una biblioteca, dove giocano di bambini. Un pezzo di cuore, direbbero a Napoli, nella città che li ama con la loro stessa discrezione.

Si sono negati tutta la vita all’ufficialità, alle rendite di posizione, alle cariche, ai monumenti. Carlo l’aveva raccontato lui stesso: all’inizio degli anni ‘60 si era ritrovato a un importante premio internazionale che si dava a Formentor, dove era convenuta la meglio intelligenza internazionale, e si sprecavano professori molto distinguished, votati a travolgenti carriere universitarie e sicure glorie accademiche. Ecco, non volevano diventare distinguished. Fruttero da giovane aveva fatto una vita da bohémien a Parigi, campando con i lavori più umili e aveva scoperto che i proletari in mezzo ai quali viveva sono come tutti gli altri, e non detengono alcuna verità. Si era fatto dei sandali francescani con un vecchio copertone e due pezzi di legno, anche se amava le giacche molto british con le toppe. Lucentini era un bricoleur ancora più formidabile, si era costruito un’intera casa con le sue mani dalle parti della foresta di Fontainebleau. Praticavano il bricolage anche in letteratura: ingurgitavano tutto, alto e basso, classici e contemporanei, fantascienza, poliziesco, rosa, horror, fumetti, feuilleton, perfino “La Gazzetta Ufficiale”, insomma tutto quello che ha a che fare con la realtà della vita; e poi lo restituivano nei loro perfetti congegni narrativi, e negli esilaranti articoli di giornale. Così diversi, così perfettamente integrati. In una enciclopedia ideale, alla voce “Amicizia” dovrebbero mettere la loro fotografia.

Per questo potevano essere meravigliosamente liberi nel vedere e nell’infilzarci con due mosse, da quegli Zorro senza zorraggine che erano: senza l’aria di superiorità e di supponenza moralistica che è un po’ tipica dei satirici e dei fustigatori. Questo è stato il loro miracolo: raccontarci senza sarcasmi, con la rassegnazione divertita di chi sa che gli italiani, ma diciamo gli uomini, non cambieranno mai. L’unica è sorriderne e ancora adesso ad aprire a caso il loro Il cretino è per sempre si ride beati come ormai non capita più. Come ha scritto Michele Serra, divertenti sì, ma micidiali, di una ferocia “limpida e cortese”. Con il retrogusto di un’ultima speranza: quando crollano “i grandi piani e le roboanti parole d’ordine” il singolo “può ancora restare fedele a una sua privata serietà, una sua caparbia passione”. Essere rivoluzionari oggi, nel Paese degli Sciamannati, significa praticare sommessamente la razionalità, la compostezza e lo stile. Essere targati F. & L.

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