Quirina è un’anziana signora che vive in orgogliosa solitudine in un piccolo paese delle Alpi, dove accudisce con scrupolo e passione un orto-giardino che è tutta la sua gioia. Un vecchio pero, cespugli di ortensie e di rose antiche, peonie, iris e lamponi delimitano uno spazio armonioso che vuole opporsi all’insensato disordine del mondo. Una mattina di maggio Quirina fa una scoperta che la sconvolge: il prato è sconciato da serie di monticelli di terra che rivelano la devastante presenza di una talpa.
Chi è il nemico invisibile che abita il mondo sotterraneo, speculare al nostro? Quali le sue abitudini? Come combatterlo? L’arrivo della talpa mette in agitazione l’intero paese, diventa oggetto di congetture, conciliaboli, discussioni. Comincia una guerra senza quartiere, in cui vecchi rimedi e credenze popolari si intrecciano con le nuove tecnologie, in un crescendo che troverà una conclusione inaspettata. L’intrusa scatena interrogativi e inquietudini, ma evoca anche ricordi e memorie che sembravano perdute. Si scopre con sorpresa che del “bravo minatore” hanno parlato in toni ammirati anche Shakespeare e Primo Levi…
Un apologo sorridente, realistico e pensoso insieme, che aggiorna l’antica formula del “racconto con animali” conservandone la leggerezza e l’incanto sapienziale. Lo accompagnano i poetici disegni di un’inedita Paola Mastrocola, che agli animali ha dedicato tante indimenticabili storie.
Io e la talpa, tra Shakespeare e Marx
Storia di Quirina, di una talpa e di un orto di montagna porta le illustrazioni di Paola Mastrocola. Che su “La Stampa” del 15 maggio racconta come è nata questa collaborazione.
Tempo fa, Ernesto Ferrero mi propone di illustrare il suo nuovo libro. Non sono un’illustratrice né una pittrice, anche se forse era quello che avrei desiderato fare nella vita. Non sono neanche così brava a disegnare, non ho pazienza, non ho studiato. Ma mi piace da morire, lo faccio da quando sono nata, in ogni momento che riesco a ritagliarmi. Inoltre Ferrero mi dice che la favola racconterà di una talpa, e io adoro le talpe, questi esseri che vivono nascosti e se ne fanno due baffi di noi. Come resistere?
Ma, sorpresa!, la favola non parla di una talpa. O meglio, parla tantissimo di una talpa, ma mai direttamente. In realtà è la storia di una donna sugli ottant’anni alle prese con una invisibile e imprendibile talpa che le devasta il mirabile orto giardino (nonché l’ordine rasserenante ma un po’ solitario della sua vita), e contro cui intraprenderà una estenuante guerra fatta di battaglie perse. Quindi, sì, il libro di Ferrero parla di una talpa, ma di una talpa che non si vede mai (o sì? questo non ve lo dico!). E ne parla di scorcio, per allusioni e digressioni, per vie traverse. Ed è questo che mi piace tantissimo del suo libro. Perché così io posso buttarmi in queste viuzze laterali, e disegnare la storia che non c’è, la storia-talpa che serpeggia nelle gallerie segrete a un metro sottoterra, a un palmo dalla superficie.
Un libro, d’altronde, non è certo solo trama. È digressioni, strade laterali, parallele, sotterranee. Le metafore, le similitudini, le citazioni, le allusioni colte che un autore ci mette non sono altro che l’ipotesi di altre storie, vie indirette, secondarie che volutamente depistano su altre storie; rivoli, sentieri, viottolini, che decide il lettore se prendere o non prendere.
Io li ho presi. Ho preso tutti i viottoli che Ernesto Ferrero mi ha offerto. Troppo invitante! Quando lui butta lì una citazione, anche minima, o una perifrasi che evidentemente depista il discorso ed è inessenziale alla trama, per me è un mare di figurine che mi si apre nella testa. Come le suorine del vicino ospizio che vanno a raccogliere le pere appena crollate al suolo per farne marmellate… Cosa c’entrano? Niente. Ma sono irresistibili. O quando a un certo punto Ferrero cita la Treccani e ci informa che le talpe nuotano, e che mangiano insetti e piccoli rettili: come resistere al disegno di una talpa con maschera e pinne, e di una talpa cattivissima con le fauci aperte su un ignaro vermicello? O ancora, quando Quirina e suo genero il Marchese citano Amleto che dà della vecchia talpa allo spettro del padre, e Marx che paragona la rivoluzione a una vecchia talpa, e Napoleone che ha fatto un milione di morti in Europa… Come non “vedere”, insieme alla talpa, Amleto col teschio in mano, il faccione barbuto di Marx e la mano nel panciotto di Napoleone?
Forse illustrare un libro non è altro che seguire viottoli e sentieri, perdersi tra le righe del non detto, del poco detto, del solo alluso. Prendendosi la libertà infinita di raccontare, a disegni, persino un’altra storia.
Paola Mastrocola
La recensione di Giuseppe Lupo
È tipico di una certa narrativa colta e sapienziale ricorrere alle sfumature del favolistico per raccontare l’eterno rapporto dell’individuo con il mondo in cui vive. Quando ciò avviene, è sempre un miracolo perché una scrittura di questo tipo mette a nudo la nostra condizione in forma assai più veritiera e convincente di quanto non riescano a fare i libri a più pronunciato livello di realismo. Il primo esempio che mi viene in mente è Sepulveda, che si rivolge certo ai bambini, ma strizza l’occhio agli adulti. Qualcosa di simile avviene anche nel testo di Ernesto Ferrero, che è contemporaneamente fiaba, parabola, apologo morale, album di immagini (uscite dalla matita di Paola Mastrocola). C’è un’anziana e metodica signora che vive in un angolo appartato della tecnologizzata Europa occidentale (in un paese delle Alpi, probabilmente collocato nell’alta Lombardia), coltiva un ordinato giardino, osserva il trascorrere del tempo attraverso le variazioni di odori e di suoni e di colori che subiscono fiori e piante. Un giorno la donna si accorge che una talpa è comparsa a rovinare il suo angolo di paradiso, scatta l’allarme, inizia una logorante guerra di nervi in cui ogni azione sarà finalizzata a scacciare l’intrusa. Conoscendo lo spessore letterario di chi scrive, è facile ipotizzare che tutto non possa concludersi qui. Molta della ricchezza di questa breve allegoria si spalanca proprio quando il corpo a corpo entra nel vivo ed è quasi sempre l’animale a farsi beffe delle trappole che le prepara la padrona di casa, a prendersi la sua rivincita tanto sui rimedi popolari quanto sui ritrovati della scienza. Sembrerà un divertissement, forse lo è, ma in poco più di ottanta pagine Ernesto Ferrero pare incamminarsi nella medesima direzione in cui si era indirizzato il Calvino dei Nostri antenati: confeziona un racconto di idee, mescola fantasia e quotidianità, mette in scena lo scontro tra ordine e disordine (il vero nucleo del libro), dunque racconta l’antico combattimento fra natura e civiltà con quel misto di sorpresa incredula, di sapore ironico, perfino di filosofico senso del destino che fa da supporto alla vicenda. In fondo, spuntarla sull’avversario è importante (è la prima regola che una società come quella in cui viviamo pone all’apice del proprio decalogo pedagogico), ma probabilmente è più necessario vivere la gara. È vero, si contrappongono due antagoniste speculari nel carattere, entrambe tenaci, testarde, maldisposte a cedere: un po’ come avviene in Moby Dick di Melville o nel Vecchio e il mare di Hemingway, dove il conflitto tra uomini e animali fornisce una chiave di lettura dell’esistenza, che non è solo lotta per la sopravvivenza, ma dialogo tra contrari, superamento degli ostacoli nel dolore, riconoscimento dei limiti. Ma questo in fondo è l’aspetto assegnato dal gioco delle parti. Più sorprendenti sono i ragionamenti che elaborano scrutandosi da sopra o da sotto terra: la talpa deve recitare il ruolo di chi invade un territorio che non le appartiene («aveva capito benissimo che gli esseri umani parlano e parlano, se la contano tra di loro, ricamano teorie. Fanno della retorica, ma non sono capaci di combinare niente»), la donna invece si sente rivestita delle armi di una Giovanna d’Arco («Pensava che salvare i vermi dalle zanne della talpa era come rendere omaggio ai milioni, ai miliardi di esseri viventi, uomini o animali poco importa, che ogni giorno compivano in silenzio il loro dovere nel disinteresse generale. […] Liberare l’orto dalla talpa significava ringraziare silenziosamente gli Anonimi che nessuna storia ricorda, e senza i quali non vi può essere la Storia»). Proprio lei, la signora Quirina, nel praticare l’esercizio quotidiano della pazienza e della rivalità, elabora un discorso sul senso del vivere, sul mistero del creato, sulla debolezza della vecchiaia. Ed è un récit che da Shakespeare arriva a Napoleone, da Napoleone a Marx, da Marx discende a Primo Levi. Come dire: tasselli di una tavola anatomica, frammenti della coscienza di noi moderni.
Giuseppe Lupo
“L’Immaginazione”, Manni editore
luglio-agosto 2014
Hanno Detto di Storia di Quirina, di una talpa e di un orto di montagna
…Se non sai ascoltare l’altro, se non sai ascoltare le sue ragioni, o anche solo vedere quanto il suo ‘stile di vita’ è legittimamente diverso dal tuo, sarà ben difficile costruire una qualunque civile, umana convivenza. Ora però preparatevi a calare questo seriosissimo discorso nella leggerezza di un racconto che ha per protagonisti un’anziana e coltissima signora di nome Quirina che vuole passare la sua vecchiaia coltivando, un po’ candidamente, il proprio-orto giardino ai piedi delle Alpi, sia figlia Maria Piera, e suo marito detto il Marchese, la vicina detta la Sublime, cui vanno aggiunti, in varie rievocazioni, la gallina Cecchina e altri animali, tra cui i vermi di Darwin, e scrittori e filosofi, da Shakespeare a Marx a Primo Levi, che accompagnano Quirina nella guerra che si vede costretta a ingaggiare con un nemico invisibile: una talpa che rivela la sua presenza, una mattina di maggio, con l’apparire di una serie di monticelli di terra che deturpano il prato e infrangono la perfetta armonia dell’orto-giardino che Quirina ha cvostruito con cura infinita, a riparo dall’insensato disordine del mondo. La talpa è dunque, per Quirina, il nemico assoluto. Contro di lei va ingaggiata una guerra senza quartiere. Che si trasforma in una graduale, esilarante quanto profonda scoperta dell’altro, Sullo sfondo, quasi impercettibile, il senso delle grandi tragedie della storia e, forse, lo spirito giusto, equilibrato, per provare a non ricaderci
…Chatwin e Terzani ‘cercavano l’ala dentro l’imbrunire’, come Franco Battiato nella sua canzone ‘esoterica’ Prospettiva Nevskij. O. molto più allegramente, come la protagonista del bello e semplicemente colto racconto di Ernesto Ferrero. Una vecchia signora con studi classici di rinchiude nell’armonia cosmica del suo orto per ricreare l’equilibrio perduto in quel ‘caos incomprensibile che era diventato il mondo’. Una mattina, un’ospite sgradita la obbliga a tornare sulla Terra, a convivere con le delusioni e le sconfitte, e ad accorgersi che è proprio l’antagonista a dare senso alla sua vita: ‘…Ci aiuta a non fermarci, a non distrarci, A combattere le nostre battaglie, giuste o ingiuste che siano. Anzi, sa cosa le dico? A ogni anziano, lo Stato dovrebbe assegnare d’ufficio un antagonista appropriato…Si fermò, colpita da un pensiero improvviso: l’antagonista era lo Stato stessi, ottuso, vessatore, disorganizzato, caotico, scialacquatore”. Aveva trovato la risposta.
…Le talpe sono una specie di simbolo cultural-letterario: i riferimenti sono tanti, in questa parabola lieve e profonda (trattandosi di una talpa non poteva essere altrimenti): da Shakespeare a Marx, da Nietzsche a Darwin, da Le Carrè a Primo Levi…La talpa ci aiuta a sorridere a riflettere sulle nostre paranoie, a stare in guardia. Quirina è un po’ simile a lei, quando si rinchiude nelle ombrose stanze estive, è altrettanto instancabile…Senza l’antagonista lunga una spanna la signora Quirina si annoierebbe. Perché i suoi cunicoli e quei mucchietti di terra scompigliano il perbenismo…La storia d’Italia è una Talpeide, dice Ferrero. Al confronto l’animaletto è un modello di naturalezza e serenità.
Potere della narrativa: dopo aver letto Storia di Quirina di Ernesto Ferrero e Paola Mastrocola vien voglia di amare di più e in modo più profondo una grande e storica nemica del giardino (e del giardiniere). Esiste infatti una dimensione del giardino alla quale si pensa poco: quella sotterranea a nascosta, fatta di terra, radici, sassi e (perché no?) lunghi cunicoli. Come nella storia di Quirina, non sempre la convivenza è facile e pacifica.