Il romanzo che ha vinto il Premio Strega 2000.
Maggio 1814: Napoleone, sconfitto sul campo di battaglia e spogliato del suo immenso potere, sbarca all’isola d’Elba, suo nuovo, minuscolo regno. Improvvisamente torna ad essere un borghese quasi comune, osservabile a occhio nudo nelle piccole faccende della vita quotidiana. Ma qual è il vero volto dell’Eroe?
Per trecento giorni l’elbano Martino Acquabona, nominato bibliotecario dell’Imperatore, cerca di decifrare l’enigma e addirittura di sviare le tempeste che si addensano all’orizzonte. Le sue memorie raccontano di attese e paure, tradimenti e fedeltà, passioni e rancori, mescolando una folta galleria di personaggi: generali e vecchi grognards, dignitari e mamelucchi, spie e messaggeri, popolani e nobildonne.
L’uomo grassoccio e spaventato che nel maggio 1814 viene condotto all’Elba sembra uno dei tanti commercianti che sbarcano a Portoferraio per affari. La piccola isola di pescatori, contadini e minatori è quello che gli rimane di un impero che si estendeva da Cadice a Mosca.
Ta gli elbani in attesa c’è Martino Acquabona, un timido letterato che non si rassegna all’inumanità degli uomini, e da anni si ostina a interrogare il mistero dell’Eroe borghese che ha sconvolto i destini d’Europa. L’intermezzo dell’Elba trova in Martino un memorialista scrupoloso e ironico. Il suo diario racconta gli effetti dell’arrivo sulla piccola comunità e su se stesso, descrive la convivenza con la piccola corte dei fedelissimi e con gli Inglesi, l’arrivo di Madame Mère e della sorella Paolina, l’inutile attesa di Maria Luisa, la visita segreta di Maria Walewska, il clima d’assedio che spinge Napoleone a tentare l’avventura che si concluderà a Waterloo.
Ma Martino si interroga anche sul senso profondo della vicenda di cui è diventato testimone. Convinto che tutto è già stato scritto da qualche parte, rilegge gli avvenimenti di quei mesi alla luce dell’intera parabola napoleonica. E quando capirà che l’Imperatore si prepara a fuggire e a riprendere le armi, cercherà di fermarlo.
Basato su una documentazione rigorosa, gremito di storie e di personaggi, sorretto da una magistrale tensione stilistica, N. è più di un romanzo storico: è un libro che si misura con le domande di sempre: il Male, il Tempo, le responsabilità individuali, la guerra, la morte, l’amore, la felicità possibile.
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Hanno Detto di N
Ernesto Ferrero è andato a frugare nei trecento giorni dell’Elba col massimo scrupolo storico, facendo poi del ricco materiale raccolto un uso manzoniano, da quell’elegante, eccellente narratore che è.
Ferrero sa utilizzare con mano maestra la copiosa documentazione preliminare, animare il racconto con le risorse di una scrittura temprata dai suoi esercizi di traduttore e lessicografo. Sa aprirsi alla festosità figurativa delle uniformi militari e alle trasparenze di un paesaggio amato, al calore del sentimento e al distacco della massima morale…L’autore è guidato da uno sguardo largo su uomini e tempi, da una meditazione accorata e ironicamente disincantata sull’arena degli umani destini.
Il protagonista Martino Acquabona (e cioè Ferrero) raggiunge i risultati più alti nella concettosità che sintetizza situazioni, sentimenti e pensieri. Martino-Ferrero si mette in gara con l’Imperatore, unito a lui da quel gusto per l’arte dell’aforisma che ha reso grandi Montaigne e Chamfort…Se già, grazie alla precisissima ricostruzione storica e ambientale, Ferrero riesce a dar vita e colore a un episodio determinante della vicenda napoleonica, con questa cesellatura epigrammatica del discorso risuscita i toni più raffinati dell’epoca in cui si svolgono i fatti, e le più sottili manifestazioni dell’animo dei personaggi, tutti in vario modo straordinari, che stanno sulla scena.
Prima ancora di essere una riflessione su Napoleone visto dal basso, N. è un libro sul sentimento che il vincitore di Austerlitz produce nelle coscienze di chi non smette di interrogarlo…Ernesto Ferrero, che in Barbablù (1998) indagando sulla vita di Gilles de Rais, Annibal Lecter del Quattrocento francese, s’era immerso nei fondali oscuri della natura umana, ha scritto con N. una preziosa glossa a uno dei più fastosi intermezzi che la storia bellica ricordi, tra Borodino e Waterloo.
Elegante apologo autobiografico e insieme riflessione esistenziale, N. conferma le non comuni qualità di scrittore di Ferrero e la sua predilezione per una prosa agrodolce, cresciuta alla scuola di Calvino.
Ferrero ha saputo ricostruire la poco nota parentesi elbana della vicenda napoleonica con l’esattezza del cronista e le coloriture del romanziere che ben conosce l’arte di avvincere il lettore attraverso lo stupore dei minimi particolari.
Diario come continua interrogazione di sé…Che consente a Ferrero anche i vaganti margini tra racconto, riflessione e interrogazione, però tenuti in giusto equilibrio. Di qui viene al libro un tono di diffusa e amabile, rattenuta ma densa malinconia, qua e là tinteggiata di divertita ironia.
La grazia realistica del libro ha delle fortunate digressioni in cui si può ammirare una delle più pure prose di questo tempo.
La più riuscita fusione tra verità storica e creazione letteraria che mi sia capitato di leggere dopo Guerra e pace.