Elisa

Mai donna ha rinnegato al pari di lei le grazie del suo sesso”, scrisse di lei una perfida testimone del tempo. Elisa Bonaparte, Principessa di Lucca e Piombino, Granduchessa di Toscana, dove ha lasciato un buon ricordo, è forse il personaggio meno noto della famiglia di Napoleone. Donna capace e ambiziosissima, plasmata dal più colto e intellettuale dei fratelli Bonaparte, Luciano, riesce a conquistare l’ammirazione dell’Imperatore: “Elisa è il migliore dei miei ministri”.

In questo monologo Ernesto Ferrero coglie Elisa nell’imminenza della sua caduta, in una notte della primavera 1814. La granduchessa rievoca la sua giovinezza solitaria, la ricerca di un’identità, i complessi rapporti con la famiglia e con i numerosi favoriti (che la tradiranno crudelmente), la passione per il teatro, i trionfi e i dolori. Ne esce l’autoritratto di una delle poche donne –insieme a Maria Luigia­ capaci di improntare di sé un’epoca.
Nelle sue confessioni si possono cogliere in filigrana le esaltazioni di un momento storico di rara intensità, in cui tutto è smisurato e sembra diventare realizzabile l’ambizione di rifare il mondo.


La breve vita difficile di Elisa Bonaparte

Malgrado i dieci anni della sua permanenza in Toscana, e il buon ricordo che vi ha lasciato, Elisa è personaggio tra i meno noti e frequentati della famiglia imperiale. Anche a livello bibliografico, scarsi sono i contributi della ricerca storiografia: la biografia di Paul Fleuriot de Langle, Elisa, soeur de Napoléon Ier (Parigi, 1947), l’Elisa Bonaparte di Paul Marmottan, che tuttavia si ferma al 1804 (Parigi, 1898), pagine sparse nel monumentale Napoléon et sa famille di Frédéric Masson in tredici volumi (Parigi, 1887-1919). Nel 1983 l’Accademia Lucchese ha dato alle stampe presso Maria Pacini Fazi la monografia di Eugenio Lazzareschi, Elisa Buonaparte Baciocchi nella vita e nel costume del suo tempo, a cura di Italo Pizzi, rimasta inedita per la sopravvenuta morte dell’autore nel 1949.

E si può capire: non aveva, Elisa, la capacità di seduzione di Paolina, né al pari di Carolina sposata Murat poteva godere di un palcoscenico come il regno di Napoli. Carolina aveva inoltre un miglior rapporto con Napoleone, e sapeva come trattarlo, trovando le parole giuste per placarne le ire ogni volta che Murat, tanto coraggioso in guerra quanto sprovveduto in pace, combinava qualche gaffe politica delle sue: “testa che si scalda facilmente”, come gli scriverà lei, invitandolo a non sfidare invano l’Imperatore.

Elisa e Carolina avevano tuttavia in comune la forte ambizione, la spregiudicatezza, il gusto del potere, l’attitudine al comando e la singolarità di avere assunto durante l’adolescenza un nome d’arte per iniziativa del fratello Luciano, il letterato di famiglia, il cui gusto estetico era evidentemente disturbato dalla banalità dei nomi anagrafici delle sorelle: Maria Anna e Maria Nunziata. Così Maria Anna divenne Elisa, e Maria Nunziata si trasformò in Carolina.

Elisa, nata ad Ajaccio nel 1777, a sei anni fu avviata all’educandato di Saint-Cyr per giovanette di buona condizione, grazie a una borsa ottenuta con l’appoggio dell’allora governatore di Corsica, Marbeuf. Rimase a Saint-Cyr sino al 1792, quando gli eventi della Rivoluzione travolsero anche la benemerita istituzione; e dovette poi seguire a Tolone e Marsiglia la famiglia, bandita dalla Corsica a seguito delle feroci lotte tra la fazione filo-inglese di Pasquale Paoli e quella filo-francese. I Buonaparte attraversarono un periodo di penose ristrettezze, ma le loro sorti furono improvvisamente e miracolosamente sollevate dal secondogenito, il giovane Napoleone, generale in capo dell’Armata d’Italia a soli 27 anni. Mentre Carolina era stata chiesta in moglie dall’impetuoso Murat, restava il problema di sistemare Elisa, ancora nubile a vent’anni. L’ammiraglio Truguet, che l’aveva corteggiata a sedici anni, non aveva avanzato domande di matrimonio, e l’indomita Letizia, la Madame Mère precocemente vedova, stimò prudente accettare le proposte di un modesto capitano di fanteria di trentacinque anni, un genovese d’origini corse (e per di più di una fazione ostile ai Buonaparte): Pasquale Felice Baciocchi (Pasquale, è da supporre, proprio in omaggio a Paoli, padre della patria, e nume tutelare della famiglia prima che i giochi politici lo trasformassero in nemico).

Letizia aggirò l’opposizione di Napoleone, che da capofamiglia effettivo amava sovrintendere ai matrimoni di fratelli e sorelle con piglio a dir poco autoritario, fingendo d’aver ricevuto in ritardo la lettera del figlio. Il matrimonio fu così celebrato a Marsiglia nel maggio 1797. Napoleone, che teneva corte a Milano, al castello di Mombello, perdonò. Felice fu nominato capo battaglione, e comandante della cittadella d’Ajaccio.

Il vero artefice dell’educazione politica e mondana di Elisa fu tuttavia il fratello Luciano, gran talento politico, umanista, collezionista, archeologo e mecenate. Sarà Luciano a salvare Napoleone nei tumultuosi e drammatici eventi del 18 Brumaio (9-10 novembre 1799), disperdendo con le armi le opposizioni, e aprendogli così la via al consolato. Sarà un altro matrimonio, quello di Luciano rimasto vedovo con Alexandrine de Bleschamps, vedova a sua volta dell’agente di cambio Jouberthon, a creare il casus belli che farà esplodere il dissidio tra due fratelli troppo simili. Napoleone aveva già destinato Luciano a un matrimonio dinastico, quello con la regina d’Etruria, e il rifiuto del fratello gli suonò insopportabile, quasi una messa in discussione del suo potere. A partire dal 1804 Luciano si ritira a Roma, ben accolto da Papa Pio VII, che gli elargisce la castellania pontificale di Canino, con una rendita di 60.000 franchi l’anno. Nel 1814 il Papa lo nominerà addirittura principe ereditario di Canino per il “leale e sincero attaccamento alla Santa Sede”. Motivazione degna d’interesse, se si pensa alle umiliazioni e addirittura alla deportazione che Napoleone aveva inflitto a Pio VII, e alla sua durissima politica di confisca dei beni ecclesiastici. Il dissidio fra i due fratelli si ricomporrà soltanto nei drammatici eventi dei Cento Giorni che precedono Waterloo.

Negli anni del consolato Elisa si trasferisce al castello di Luciano a Plessis-Chamant, e ne organizza lo splendido train de vie, aprendo un salotto letterario piuttosto ambìto, il cui principale animatore è Louis de Fontanes, poeta, saggista, giornalista, direttore del “Mercure di France”. Vi si discute di letteratura, si leggono poesie, si recitano commedie.
Fontanes dovrà ai buoni uffici di Elisa, che egli sa lusingare efficacemente, una carriera che lo vedrà via via presidente del Corpo legislativo, conte dell’Impero, senatore, rettore dell’Università. È Fontanes a portare nei salotti di Elisa (che nel frattempo ha acquistato una delle più belle dimore parigine, l’hôtel de Maurepas) Chateaubriand, che leggerà ai presenti alcuni capitoli del Génie du Christianisme e all’Imperatore il romanzo Atala. Sarà Elisa, “la bella”, “l’eccellente protettrice” a procurare allo scrittore il posto di primo segretario d’ambasciata a Roma, e poi la nomina di ministro a Sion. Luciano osserva compiaciuto: “Elisa ha una vera passione per i savants, la sua casa è il tribunale a cui gli autori corrono per farsi giudicare”.

Le insicurezze d’infanzia e d’adolescenza hanno reso Elisa vulnerabile dalle adulazioni più smaccate. Lo charme dei Bonaparte (Napoleone ha ritenuto opportuno francesizzare il cognome) è assente in lei. Alta, magra, ossuta, nasuta, occhi febbrili, ha tratti e temperamento maschile. (La perfida duchessa d’Abrantès, famosa per i suoi complessi di superiorità, arriverà a dire nelle sue Mémoires: “Mai donna ha rinnegato al pari di lei la grazia del suo sesso”). Se non le è difficile dominare l’opaco Baciocchi, peraltro sempre distaccato in qualche lontana guarnigione o missione, Elisa soffre perché la sua affermazione mondana è offuscata dagli altri componenti della famiglia, che la sovrastano per lusso e ricchezze, a partire dall’imperatrice Joséphine, assai poco amata –se non detestata- dalle sorelle Bonaparte. A questo punto gli interessi di Napoleone e di Elisa coincidono. Napoleone, che è solito utilizzare i famigliari per governare gli Stati satellite, preferisce allontanarla da Luciano, da Parigi e da Joséphine. La sorella avrà il principato cui tanto aspira.

Divenuta un’Altezza imperiale, è nominata principessa ereditaria di Piombino con un decreto del 28 marzo 1805, ma il piccolo regno non può bastare alle sue ambizioni. Ad esso di aggiunge nel giro di pochi mesi il principato di Lucca, 130.000 sudditi, un passato glorioso, forti legami con la Corsica dei nuovi sovrani. Nominalmente, il principato viene affidato a Felice Baciocchi, cui i lucchesi si impegnano a fornire un appannaggio di 300.000 franchi annui, un palazzo di città (il Palazzo della Repubblica, restaurato e ingrandito in pochi mesi) e un palazzo di campagna. Ma sarà lei a governare.

L’illusione dei lucchesi di poter gestire in qualche modo la coppia, che non sembra avere grande esperienza, dura poco. Elisa rivela impreviste capacità amministrative e di governo (il Bollettino ufficiale delle leggi e dei decreti del principato lucchese finirà per occupare 17 volumi in 8°). Del fratello ha gli atteggiamenti bruschi, il modo intimidatorio d’interrogare, la capacità d’ascolto e di lavoro, la rapidità decisionale. Nel giro di un anno azzera la Costituzione, e attua con un piglio sempre più deciso provvidenze che ricalcano il modus operandi dell’Imperatore, dalla riforma dei codici e della giustizia alle opere pubbliche, dalle misure per il rilancio di industrie, commercio e agricoltura a quelle che oggi si chiamano le infrastrutture, dalla confisca dei beni ecclesiastici al miglioramento del sistema scolastico e al rilancio della musica, delle arti e dello, che porterà a Lucca Niccolò Paganini e artisti illustri sotto le insegne della neonata Accademia Napoleone. La corte viene modellata e minutamente regolata su quella delle Tuileries, si riempie di ciambellani, dame, scudieri, paggi, cappellani, elemosinieri, ufficiali d’onore. L’aristocrazia vecchia e nuova viene coinvolta in una gara di fasto mondano.

Tra le benemerenze più sicure e inoppugnabili di Elisa resta quella di avere strappato al fratello, nell’esultanza per la nascita del Re di Roma, l’esenzione dei giovani lucchesi dalla coscrizione. Così tante madri, si vanterà lei, “non dovettero piangere per figlioli uccisi o mutilati in terre straniere, e per causa non nostra, come purtroppo avvenne in altri paesi d’Italia”.

In questo attivismo riformatore e modernista l’antica educanda di Saint-Cyr dimostra un piglio e una capacità che finiscono per stupire lo stesso Napoleone, che non l’ha mai troppo amata. D’altra parte Elisa governa con un occhio a Parigi, e fa in modo di presentare sempre la propria opera sotto la luce più favorevole, inviando di continuo relazioni sulle opere realizzate e attestati di lealtà e devozione, festeggiando le date più importanti della recente gloria napoleonica con eventi sfarzosi. Inoltre sa tenere buoni rapporti con i ministeri, con il potentissimo ministro di polizia, Fouché, e il non meno potente ministro degli esteri, Talleyrand. Come l’imperiale fratello, è una brava comunicatrice, e cura a tal punto i rapporti con la stampa parigina, che questa si occupa frequentemente di lei, tanto che Napoleone –il quale ama occupare per intero la scena e non ammette comprimari- giunge ad irritarsene e a rampognare i giornali che danno notizie tanto insignificanti, come il varo a Livorno del brick L’Inconstant (che pur un curioso gioco del destino sarà la nave con cui Napoleone fuggirà dall’Elba).

Tuttavia l’Imperatore finisce per ammettere che “Elisa è il migliore dei miei ministri”, anche se tiene le briglie cortissime, e la rimprovera con durezza quando cerca di sottrarsi al dirigismo di Parigi: “Voi avete il diritto di appellarvi a me circa le decisioni dei miei ministri, ma non avete in alcuna maniera il diritto di arrestarne l’esecuzione. I ministri agiscono in mio nome; nessuno ha il diritto di bloccare gli ordini che essi trasmettono. Vogliate dunque dare esecuzione alle decisioni del ministro, e rimettermi una relazione a giustificazione del vostro operato”. A Sant’Elena, in cui il rude pragmatismo d’un tempo si stempera in malinconica benevolenza, Napoleone arriva a lodare l’esprit della principessa: “Aveva un’attività prodigiosa, conosceva gli affari del gabinetto come il più abile dei diplomatici. Corrispondeva direttamente con i miei ministri, spesso resisteva loro e talvolta mi obbligava a mischiarmi alle discussioni”.

Il principato si ingrandisce nel marzo 1806 con l’annessione di Massa, Carrara e della Garfagnana, sino alle sorgenti del Serchio. Sono altri 50.000 abitanti e non disprezzabili risorse economiche, tra le quali le cave di marmo, che forniscono la materia prima per una lunga serie di busti di Napoleone e degli altri principali componenti della famiglia imperiale, con cui la granduchessa dà prova del suo talento anche per il merchandising. Tuttavia le nuove entrate non sembrano bastare ad Elisa, che come ironizza il Masson possiede allo stesso tempo le attitudini risparmiose della madre e l’inclinazione al fasto dei fratelli. I lavori per le dimore dei principi assorbono una parte notevole delle entrate dello Stato.

Ma è a Firenze che Elisa mira, decisa com’è a scalzare la reggente, Maria Luisa di Borbone. Nei suoi dispacci a Parigi, il granducato è descritto come un covo di reazionari, di papalini, di superstiziosi, di fanatici detrattori del potere imperiale e della modernità. È una vergogna, lascia intendere, che accanto a Lucca così ben gestita stia una Firenze così trasandata, così arretrata. Elisa prepara il terreno compiendovi numerose visite in privato, alla conquista degli opinion makers della capitale, ostentando un’aria di protettrice delle belle arti e di benefattrice che si china amorevolmente sulle sorti degli infelici. E intanto continua a coltivare i suoi potenti protettori parigini, ivi compreso l’astronomo Laplace, che poi è il consorte della energica signora che è a capo della Maison principesca.

Avrà breve durata lo scontro fra la ossuta e caparbia corsa e la spagnola “molle, trabordante di grasso, superstiziosa, di scarso cervello e di corpo infermo, disgraziata propaggine della casa di Spagna, nella quale bruttezza, immoralità e imbecillità sono ereditarie”: così ferocemente la descrive il Masson. Il decreto imperiale del 3 marzo 1808 conferisce “a nostra sorella la principessa Elisa il governo generale dei dipartimenti di Toscana con il titolo di granduchessa”. Abolita la finzione che voleva Baciocchi titolare del principato di Lucca e Piombino. Ora Felice, che pure è stato nominato Altezza Imperiale, generale di divisione e comandante generale, è un semplice sottoposto. Sarà sua moglie a trasmettergli gli ordini dell’Imperatore. Il quale concede alla sorella i segni più prestigiosi: le insegne, la guardia d’onore, la Maison d’honneur composta dagli esponenti delle più illustri casate fiorentine, palazzi, ville, castelli.

Incinta di cinque mesi si reca a Parigi per il matrimonio di Napoleone con Maria Luisa, con un corteo di sette carrozze, sei dame di palazzo, cinque ciambellani e due scudieri. “La Granduchessa di Toscana è molto intelligente, è brutta, ma ha una figlia di tre anni che è la più bella bambina che abbia mai visto”, scrive Maria Luisa al padre. La predilezione della nuova imperatrice per la bambina stabilisce una corrente di simpatia tra le due cognate, ma la gioia per la nascita del sospirato erede Gerolamo Carlo (ancora una volta è Napoleone ad assegnare i nomi) è di breve durata: il bambino muore pochi mesi dopo, nell’aprile 1811, forse per idropisia. La morte del bambino coincide, più o meno, con l’abbandono di Bartolomeo Cenami, dopo una relazione durata sette anni, nei modi più oltraggiosi (il Grande Scudiero si fa sorprendere in un villino fuori porta con la contessa Mozzi, e sposerà poco dopo la figlia dell’ambasciatore spagnolo).

La parabola imperiale è ormai avviata al declino, e la tragica campagna di Russia (1812) ne rappresenta il sintomo più evidente. L’efficacia del blocco continentale attuato dagli inglesi danneggia gravemente i commerci in Toscana. Nel ritratto che in quell’anno il Benvenuti fa della corte granducale, letto con gli occhi del poi, si possono già cogliere i segni dell’imminente congedo. Elisa, che siede un po’ languidamente al centro del quadro, sembra provare uno sgomento, un abbandono, un’estenuazione che non sono da lei. Tutt’intorno alla protettrice delle arti, pittori che la ritraggono, prìncipi che ammirano il busto in marmo di lei, opera del Canova anch’egli lì presente, dame e cortigiani in contemplazione (Cenami, il favorito che sta per tradire; Lucchesini, astro nascente). Sullo sfondo, una statua di Napoleone nei pepli d’un antico condottiero; dalla finestra aperta si vedono distintamente la cupola del Brunelleschi e il campanile di Giotto.

È l’ultimo momento di serenità ufficiale. Napoleone è ormai costretto a combattere sul suolo di Francia una serie di battaglie sempre più disperate; Murat è tornato a Napoli convinto che la fine sia prossima. Dunque il destino degli Stati italiani è tornato drammaticamente in gioco. Pur di conservare il Regno di Napoli Murat è disposto ad abbandonare Napoleone e ad allearsi con gli Austriaci (e con la stessa Elisa), salvo tornare a fianco del cognato nei Cento giorni, e tentare infine la mossa arrischiata di impadronirsi dell’intera penisola proprio sfidando gli Austriaci. Battuto a Tolentino il 3 maggio 1815, tenta in ottobre la carta dello sbarco in Calabria che lo perderà.

Napoleone incita Elisa a resistere in Toscana: “In questa circostanza conto sul vostro carattere”. Ma il granducato non ha un esercito in grado di battersi, e il 31 gennaio 1814 i Napoletani entrano a Firenze. Per quindici giorni Elisa si illude che gli Alleati le lascino Lucca. Quando gli inglesi sbarcano a Livorno, Lord Bentinck minaccia di arrestarla se la troverà in città. Il 12 marzo la granduchessa tiene il suo ultimo circolo, ringrazia i presenti, abbraccia le dame e si ritira. Scortata da tre carrozze, parte verso Massa come contessa di Compignano, dal nome della proprietà acquisita da poco.

Comincia un penoso vagabondaggio, prima a Genova, poi a Montpellier in attesa degli eventi. Napoleone è ormai all’Elba, dove Elisa rifiuta di seguirlo. Vagheggia di stabilirsi a Napoli, a Roma. Risiede per qualche tempo a Bologna, dove l’antica passione per il teatro le fa mettere in scena una mascherata storica, Il matrimonio dei Sanniti. Ma è a Bologna che l’ultimo dei suoi favoriti, il giovane Lucchesini, la abbandona portando con sé gioielli del valore di 30.000 scudi.

Quando Elisa apprende che l’Austria ha posto sotto sequestro le proprietà di Lucca e Piombino riprende a battersi con la consueta caparbietà. Vorrebbe raggiungere Vienna per perorare la propria causa davanti all’imperatore Francesco, ma viene fermata. Sulla strada del ritorno, a Passariano (nella stessa villa in cui Napoleone aveva firmato i preliminari del trattato di Campoformio, che metteva fine alla Repubblica veneta) mette al mondo un figlio “nel momento in cui cessava d’aver bisogno di un erede cui trasmettere il proprio potere”, come scrive sconsolatamente una sua dama di compagnia. Parte dei beni sequestrati le viene restituita dagli Austriaci.

Quando nel febbraio 1815 Napoleone fugge dall’Elba, Elisa viene sospettata di aver favorito il fratello, ed esiliata a Brno, in Moravia, con Felice. Protesta con il noto vigore: “Cosa ho mai fatto per essere trattata come un criminale di Stato?”. Dopo Waterloo, Metternich le consente di stabilirsi a Trieste, a condizione di rinunciare ai suoi titoli e alle sue pretese dinastiche. Lì la contessa di Compignano ritrova il fratello Gerolamo e Fouché, esiliato da Luigi XVIII tornato sul trono. Si consola acquistando uno splendido palazzo e la Villa Vicentina nei pressi di Gorizia, e dedicandosi ai giardini. Riesce a ricostituire una piccola corte, e conduce una vita piuttosto lussuosa. Ricompare Paganini. Lei si compiace della ritrovata serenità in una lettera a Paolina del maggio 1817: “Tutto è perfetto qui…Nessuno mi può togliere i miei privilegi, perché li devo solo a me stessa e alla mia filosofia”.

Muore a quarantatre anni, il 7 agosto 1820, un anno prima di Napoleone, secondo alcuni per febbri malariche, secondo altri più verosimilmente per un cancro al fegato (l’intestino è il punto debole della famiglia). Felice Baciocchi, che ha fissato la sua residenza a Bologna, le sopravvive sino al 1841. La bambina che tanto piaceva a Maria Luisa diventa la contessa Camerata e muore nel 1869. Frédéric-Napoléon, il bambino nato in quel drammatico 1814, muore a Roma nel 1833 per una caduta da cavallo.

Oggi Elisa, seduta nel giardino di Boboli, sempre stretta alla sua bambina, guarda con aria altera il visitatore che entra nel Museo Napoleonico di Roma, ospitato a Palazzo Primoli, dall’alto del grande ritratto del Gérard. Nella sala accanto ci viene incontro un Felice Baciocchi del 1806 un po’ dubitoso, sforzandosi di porgere un tratto insieme signorile e affabile. Marie Benoist lo ha ritratto nel più fastoso degli abiti di cerimonia, da quel sovrano che in fondo non è mai stato. Sulla parete di fronte ad Elisa, il Napoleone a cavallo dello Chabord, serenamente olimpico, senz’armi, tende il braccio a indicare perentoriamente fuori scena nuovi orizzonti di gloria.


Lettera a Elvira Sellerio

Gentile Signora
Elvira Sellerio
Palermo
Torino, 22 ottobre 2002
Carissima Donna Elvira,

ho avuto da Agnese il risvolto e l’ho modificato come da testo allegato, anche perché conteneva alcune inesattezze (Elisa fu davvero granduchessa di Toscana (il quadro di Benvenuti ha sullo sfondo proprio il campanile di Giotto); le sorelle Bonaparte erano tre e non sette; Elisa nella seconda e definitiva stesura del testo non dialoga più con le statue, o dialoga meno, ecc.).

Grazie e molti affettuosi pensieri.